Quale animo vediamo noi, infiammato da quei tanti generosi tratti di storia antica, dar segno di averne ricevuto una profonda impressione, col fare, o dire, o tentare, o almeno caldissimamente lodare alcuna di quelle imprese alte e memorabili, che dai moderni col freddo e vile vocabolo di pazzie vengono denominate? Ma, poniamo anco, che tali cose si vadano pure leggendo, e con qualche frutto; chi è, che le legge? non il popolo, che appena sa leggere; che, sepolto nei pregiudizj, avvilito dalla servitù, fatto stupido dalla povertà, non ha nè tempo, nè mezzi, nè ajuti, per imparare a discernere i suoi proprj diritti: ed egli pur solo potrebbe farli valer, conoscendoli. Leggono adunque veramente nel principato i pochi uomini rinchiusi nelle città; e fra questi, il minor numero di essi; cioè quei pochissimi, che non bisognosi di esercitare arte nessuna per campare, non desiderosi di cariche, non adescati dai piaceri, non traviati dai vizj, non invidiosi dei grandi, non vaghi di far pompa di dottrina, ma veramente pieni di una certa malinconia riflessiva, cercano ne' libri un dolce pascolo all'anima, e un breve compenso alle umane miserie; le quali forse assai più vivamente vengono sentite da chi il minor danno ne sopporta. E così fatti lettori (a questi soli attribuisco io un tal nome) che non sono uno in dieci mila, spaventare potrebbero il principe?
Leggere, come io l'intendo, vuoi dire profondamente pensare; pensare, vuol dire starsi; e starsi, vuol dir sopportare. Si esamini la storia, e si vedrà, che i popoli tutti ritornati di servitù in libertà, non lo furono già per via di lumi e verità penetrate in ciascuno individuo; ma per un qualche entusiasmo saputo loro inspirare da alcuna mente illuminata, astuta, e focosa: e neppur quella era una mente seppellita nell'ozio degli studj, ma pensante per se stessa; e di quel pensare che nasce da un sentimento naturale e profondo; forse risvegliato da un tratto di tale, o tal libro, ma non mai accattato dai molti di essi.
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