Parmi adunque, che i principi moderni, visto i progressi non impedibili oramai delle lettere, non abbiano perciò a perseguitare i letterati, perchè invano il farebbero: ma, che sapendo essi serpeggiare fra loro, e, per così dire, innestarseli, potranno forse riuscire a rendere col tempo le lettere non essenzialmente contrarie alla somma della loro illimitata autorità, ed appena debolmente sfavorevoli a un certo eccessivo modo di esercitarla.
CAPITOLO NONO.
CHE GIOVEREBBE AL PRINCIPE DI ESTIRPAR LE LETTERE AFFATTO, POTENDO.
Se un solo principe vi fosse su questo globo; o se nessun altro governo vi fosse, che il principesco; o se qualche isola così ben guardata vi fosse, da cui nessun uomo uscire, nè alcuno entrar vi potesse; credo che in questi tre casi, il principato potrebbe con suo manifesto vantaggio proscrivere ogni lume di lettere, e ogni qualunque libro, che non insegnasse il servire. Non si può mettere in dubbio, che l'uomo che si trova soggetto, non vuole per natura obbedire, se non il meno ch'ei può; e così, quello che si trova sovrano, vuol comandare il più ch'egli può. Al principato dunque gioverebbe moltissimo la totale cecità e ignoranza dei sudditi tutti: nè mi par questa una proposizione che abbisogni di prove. Ma dico di più: che in un tale stato di cose, la ignoranza perfetta dei sudditi gioverebbe al principe assai più, che non possono nuocergli nello stato presente i tanti lumi, che a noi pare d'avere. E di quanto asserisco, ne trovo la prova nei fatti. Malgrado questi nostri tanti lumi, malgrado che da molti di noi ben si sappia che ogni autorità illimitata non può avere altra base che la nostra debolezza, e non mai l'altrui forza, poichè nessun uomo ne ha tanta in se stesso da poter tutti sforzare; ogni giorno pure, e ad ogni capriccio da noi ciecamente si obbedisce tacendo.
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