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      CAPITOLO SECONDO.
     
      SE LE LETTERE, CHE SEMBRANO INSEPARABILI DAI COSTUMI CORROTTI,
      NE SIANO LA CAGIONE, O L'EFFETTO.
     
     
      Ma, che vo io dicendo? vorrei che Catoni fossero gli scrittori, e vorrei ad un tempo stesso la eleganza, l'armonia, e il terso favellare di colui, che lasciò alla più remota posterità scritto di se stesso: Relicta non bene parmula:(1) cioè di quel tribuno legionario romano, che scherza su l'aver egli abbandonato il proprio scudo in battaglia; il che nei nostri costumi equivarrebbe ad un colonnello che in ottimi versi tramandasse ai posteri scherzando, di aver egli ricevuto uno schiaffo.
      Per quale umana fatalità avvien dunque, che il bello dire paja non si poter quasi mai raccozzare col bene operare? Atene sola riunì tutto ad un tempo; libertà, e belle arti; valor militare, e scienze; ricchezza, e costumi: e che non ebbe quella terra beata? Poco durò nondimeno quel vivo fermento di cose sì fattamente contrarie fra loro; le ricchezze il buon gusto e le arti preponderando, la libertà il valore i costumi ed il maschio animo a poco a poco sparirono. Roma (in ciò, come in tutto, diversa dall'emula e non mai superata Atene) quanto alle lettere e all'arti, stette, direi così, fra i limiti umani; nè mai potea riunire insieme questi pregi diversi. Non ripulì il suo parlare, non ebbe eleganti e puri scrittori, prima di Cicerone, Catullo, Orazio, Virgilio &cc.: e, al sorgere di questi, ella vide a poco a poco menomare le patrie virtù, e dar luogo alla crescente servitù, e alle crescenti lettere e belle arti.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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