In una tale aderenza dunque, passiva affatto per parte dello scrittore, ci fa egli più guadagno il principe, o più scapito il letterato? Si esamini.
Che può egli dare il principe allo scrittore? onori, parole, ricchezze; cose tutte, che da lui possedute in copia, nulla gli costano, e nessuno ingegno richiedono per darle altrui: vi sarebbe pur quello del discernere il merito; ma siccome non lo fanno presso che mai, nè possono nè debbono farlo, io prescindo interamente da questo. Che dà egli in contraccambio al principe lo scrittore? s'egli è poeta, lodi; se istorico, menzogne; se filosofo, falsità; se politico, inganni: e così, di qualunque altra provincia egli sia, (toltone però sempre le scienze esatte, di cui parlerò a suo luogo) il letterato a ogni modo non può mai piacere, nè guadagnarsi, nè scontare il suo debito col principe, se non sacrificando o interamente o in parte la verità, e quindi l'utile di tutti, al lustro e al soverchiante potere di un solo.
Ed a ciò dimostrare, parlino per me i fatti. Socrate, Platone, e l'immensa turba di Greci filosofi; Omero, Eschilo, Demostene, Sofocle, Euripide, e tanti altri ottimi antichi scrittori; non cercarono costoro di piacere a principe nessuno; e quindi il loro divino ingegno se n'andò esente ed illeso dalla terribile protezion principesca. Così, fra i moderni che hanno veramente illuminato il mondo, sviscerando le facoltà e i diritti dell'uomo, Locke, Bayle, Rousseau, Machiavelli; e fra quelli che l'hanno dilettato con utile, Dante, Petrarca, Milton, e pochi altri; non ebbero costoro nulla che fare con principi.
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