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      Rispondo: "Il dipendere da un eguale può bensì molto amareggiare la vita allo scrittore, ma può non influire affatto sul pensare e scrivere suo; poichè quell'eguale od amico, può pur pensare com'egli su le cose umane, e non abborrire nè temere la verità che a lui può giovare altresì, come a tutti. Ma il principe non ha nè amici nè uguali; e non può mai essere nel sopraddetto caso".
      In nessun'altra maniera dunque potrebbe il letterato lasciarsi protegger dal principe, senza guastare nè se, nè il suo libro, nè la sua fama, fuorchè cavandone quelle tanto desiderate necessità superflue della vita, vivendo ad un tempo sempre fuori degli stati suoi, e non gli facendo mai capitare alcun de' suoi scritti. Questa inurbana e stravagante aderenza, che io do per una pura chimera, prova bastantemente, che sotto niuno aspetto vi può essere commercio onesto e legittimo fra il letterato ed il principe. Ma, posto pure, che un tal principe proteggente e non inquirente potesse esistere, quel letterato che ne trarrebbe mercede, senza null'altro restituirgli che oltraggi, (lo scrivere il vero è un continuo oltraggiare chi vive del falso) non vi scapiterebbe forse come scrittore; ma moltissimo vi scapiterebbe come uomo onorato, in riga di gratitudine. Non si può onoratamente cercare di nuocere a chi ti giova: e come si può egli scrivere un buon libro qualunque, che alle massime, all'esistenza, e al potere del principe non contraddica? e che quindi non lo offenda? e che quindi, in tutto o in parte, immediatamente o col tempo, non gli riesca dannoso?


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165