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      I posteri giudicano il valore del libro dallo schietto utile che ne traggono; cioè dal vero che vi si contiene, e che solo può esser fonte dell'utile: e giudicano in oltre il valore dell'uomo dal libro: ma nè l'uno nè l'altro mai, dalle loro circostanze. Ed in fatti, circostanza nessuna vi può essere, che nelle cose non necessarie a farsi, scusi il mal farle, o il farle meno bene della propria capacità; il che in letteratura è un malissimo fare; mentre tutte le circostanze si poteano pure interamente domare, col non far nulla. Quanto a se stessi poi, i letterati protetti portano nel loro cuore l'orribile martirio di essere costretti a tenersi minori di quel principe, che essi, e tutti, a giusto dritto, egualmente dispregiano. Costoro, col fero supplizio di Tantalo, in mezzo alla propria passeggera fama, ne patiscono in se stessi una tormentosissima sete: che nessuna propria fama può esistere agli occhi di quell'uomo, il quale, se stesso non potendo stimare, diviene per forza minor di se stesso.
     
     
      CAPITOLO UNDECIMO.
     
      CHE TUTTI I PREMII PRINCIPESCHI AVVILISCONO I LETTERATI.
     
      Il primo premio d'ogni alta opera è la gloria. La gloria è: Quella stima che il più degli uomini concepiscono d'un uomo, per l'utile ch'egli ha loro procacciato; quelle laudi che il mondo glie ne tributa; quella tacita maraviglia con cui lo rimira; quel sorridergli dei buoni con gioja e venerazione; quel sogguardarlo con torvi e timidi occhi, de' rei; quell'impallidire degli invidi; quel fremere dei potenti: che tutti questi sono i corredi della nascente gloria fin che l'uomo in vita rimane.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





Tantalo