Ma, l'apice di essa non s'innalzando mai totalmente che su la di lui tomba, io credo che la più vera e pura gloria non sia già quella che viene riposta nelle altrui lodi; ma quella bensì, che consiste nella intima divina certezza dall'uomo portata con se stesso al sepolcro morendo, di veramente meritarla.
A chi con forte ed intenso volere si propone un tale sublime premio, niun altro premio non può cader nella mente; ma, se pure ad alcun altro guiderdone intendono le sue brame, ogni qualunque ch'egli ne riceva o ne speri, oltre la gloria, minoramento gravissimo diviene di quella. I premj tutti adunque, che gloria e gloriosi non siano, macchiano sempre e minorano la sublimità d'ogni impresa.
Ma, poichè nell'uomo l'ingegno è tanto più nobil cosa che la forza, innegabile sarà che le opere della mente siano altrettanto maggiori di quelle della mano. E ogni premio dovendo essere conveniente e degno della fatica, sarebbe cosa ingiuriosa a un tempo non meno che obbrobriosa, se, per ricompensare l'ingegno, si venisse il corpo a premiare. L'opera dello scrittore, è opera intera di mente; della mente dunque sia il premio. Ora, nessun principe al mondo può dare un tal premio, per cui la mente soltanto ne venga ad essere veracemente onorata. Può darlo bensì un popolo libero; e col semplice applauso può darlo.
Il guerriero ha esposto la vita, e benchè il capitano operi del pari colla mano e col senno, pure, per aver egli con ferite, con pericoli e travagli menomato il suo corpo, egli può oltre la gloria accettare altresì tali altre ricompense, che quella rimanente sua vita e più comoda e più larga e più dolce gli rendano.
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