La gloria all'incontro, essendo un premio ideale, ed un mero nome, nulla toglie a chi la dà; per essere ella data dai molti, non si può mai dir sorrepita; e per essere ella legittimamente ottenuta in semplice dono dai molti datori, ella porta con se ai pochi che la ottengono l'impareggiabile eterna prova, che quei soli pochissimi erano pur riusciti nella difficilissima impresa di piacere, compiacere, e giovare ai molti uomini. Lo scrittore veramente sublime, non può dunque mai abbisognar d'altro, che di semplice gloria; perchè, se egli d'altro abbisognava prima d'esser sublime, non ha certamente potuto divenir tale, appunto perchè proponevasi egli un fine niente sublime; ma s'egli è caduto in bisogno dopo di avere ottimamente composto i suoi libri, la intatta sua fama, e le immacolate egregie sue opere, gli avranno certamente procacciato qualche virtuoso amico, che, prevenendo i bisogni suoi, lo impedirà di contaminarsi in appresso. Ma, se pur fosse possibile, che egli un tale amico non ritrovasse, lo scrittor d'alte cose, in qualunque stato ridotto ei si veda, non potrà mai apporvi rimedio che alto non sia.
Pascano adunque i principi e i loro sgherri e soldati, e i loro giumenti, cortigiani, servi, e buffoni; si ricompensino con ricchezze onori e gloria i sommi guerrieri dalle vere repubbliche; ma, con la sola e purissima gloria si guiderdonino i letterati dagli uomini tutti.
CAPITOLO DUODECIMO.
QUAI PREMII AVVILISCANO MENO I LETTERATI.
Pure, non voglio io per una severità, che in questi snervati secoli parrebbe soverchia, (benchè soverchio non sia mai ciò ch'è vero) privare gli scrittori, che uomini sono anch'essi pur troppo, della dolcezza di tanti altri premj, che gloria non sono, ma che non pajono alla gloria nocivi.
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