Ora, perchè dunque questi nostri moderni leggiadri acuti scrittori, con vie maggior utile per gli uomini e assai più gloria e fama per se stessi, non combattevano colle armi possenti del ben adoprato ridicolo piuttosto il principato che la religione? perchè il principe armato era e temevasi; non lo erano più i preti, e schernivansi. Viltà è questa; viltà inescusabile, che lo scrittore, il libro, e per anco i lettori degrada. Se la penna può pur per se stessa combattere contra il cannone, e a lungo andare trionfarne, non otterrà ella mai per certo tal palma col far ridere gli uomini; ma ottenerla potrebbe bensì col farli pensare, piangere, fremere, e bollire di vendetta e di gloria. Si potranno per tal via cangiare le loro opinioni: che le felici rivoluzioni, per cui alcuni popoli dalla oppressione risorgeano a libertà, nascevano per lo più (pur troppo!) dalle parole tinte nel sangue, non mai dalle tinte nel riso.
Ma ecco, che io, nol volendo, mi sono pure alquanto allontanato dal mio tema. Non credo però di essermene sì fattamente deviato, che da queste ultime mie parole, senza sforzata transizione, io non possa venire a conchiudere coerentemente il presente capitolo. Dico adunque, che i capi-setta, i profeti (che sommi poeti erano) i santi, ed i martiri, nati per lo più, come ogni altro insegnatore di sublimità e virtù, acerrimi nemici d'ogni assoluta potestà, sotto essa allignare non poteano senza molto scapitare della loro forza e purità. Aggiungo, che i loro fatti, parole, e focosi insegnamenti, svelavano indubitabilmente un animo innalzato, e insofferente di ogni oppressione, ove pure non volessero farsi oppressori essi stessi.
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