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      Se le lettere altro non debbono essere, che un incentivo alla verità, e alla virtù, vien dunque dimostrato dai precedenti assiomi, che elle saranno o effetto di libertà stabilita, o prossima cagione di essa, ove però non tradiscano il loro sacro dovere. Le lettere dunque potendo nelle vere repubbliche interamente essere ciò ch'elle esser debbono, pare che quegli uomini tutti, come liberi (ove abbiano pure l'ingegno a ciò richiesto) possano tutti por mano alle lettere senza avvilirle, nè deviarle. Ma nei principati, dove le vere lettere debbono essere e farsi cagione di libertà e di virtù, pare che elle non abbiano ad essere maneggiate se non da coloro che son meno schiavi. Ora, i meno schiavi nel principato, sì per una certa indipendenza data dalle ricchezze, che per una certa meno pessima educazione che dovrebbero aver ricevuta, e così anche per una certa altezza di sensi che potrebbero aver bevuta col latte, e in fine per avere col viver fra l'armi mantenuto un non so che di fierezza, e una dose di coraggio (benchè pessimamente adoprato) non picciola; i meno schiavi nel principato, pare che dovrebbero essere quei nobili che non sono contaminati di corte. Ma, se tali non sono, se ne abbiano il danno. Io, nel parlare a loro, e nel supporti capaci di non maculare le lettere, perchè bisogno non hanno di macularle, vengo ad un tempo stesso a parlare a chiunque benchè umilmente nato si trova pure nelle stesse loro circostanze, e pensa come il dovrebbero i nobili. Posti dunque i nobili, ovvero gl'indipendenti ed agiati, tra il popolo e il principe, di cui sono stati pur troppo finora il maggior lustro e sostegno, possono costoro nei presenti tempi, pienamente conoscendo il debole ed il nulla del principe, rivelarlo e dimostrarlo al popolo: ed avendo essi imparato a conoscere e rispettare del popolo la forza ed i sacri diritti, rivelarli possono e insegnargli ad un tempo al principe ed al popolo stesso.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165