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      Tutto penetra nei presenti tempi; e se finora le verità tutte non si sono fatte la dovuta strada, si dee ascrivere al timore, o al non bastante ingegno di chi assunto si era di svelarle. Ma principalmente ascrivere si debbe questo indugio di verità e di luce, a un deplorabile errore di alcuni moderni sommi scrittori, che licenziosi e non liberi, anzi degni fabri di servitù, il loro ardire piuttosto rivolgeano ad offendere con laidezze i costumi, come se abbastanza corrotti non fossero; ovvero tutte le loro deboli forze rivolgeano a schernire ad abbattere una religione per la sua fievolezza e vecchiaja già vinta; una religione, i di cui abusi non possono nuocere senza il principe che gli acconsenta e fomenti; e i di cui abusi nuocono sempre assai meno di lui.
      Ma questi veri tribuni-scrittori, tanto più alto ufficio si assumerebbero, e ne verrebbero a conseguire una gloria tanto maggiore a quella degli antichi tribuni, quanto a ciò eleggendosi da se stessi, non ad un solo popolo intendono di giovare, ma ai popoli tutti; non ai loro soli coetanei, ma alle più remote generazioni. E da questo aspetto delle lettere (nuovo affatto per noi, ma antico per esse, e sacro, e solo veramente legittimo e delle lettere degno) nascerne di necessità col tempo ne dovrebbe un nuovo aspetto di governi e di popoli.
      L'opinione è la innegabile signora del mondo. L'opinione è sempre figlia in origine di una tal qual persuasione, e non mai della forza. Ora, chi negarmi ardirà, che gli eccellenti scrittori non siano stati sempre assai più fabri e padroni dell'opinione a lungo andare, che i principi?


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165