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      Serbano gl'Italiani una certa fierezza di carattere, ancorchè mista di servile viltà; e misto al timore della oppressione serbano un certo generoso implacabile sdegno contro all'oppressore; onde essi incensano sì, e si prosternano all'assoluto potere, ma lo esecutore di esso ne sfuggono sempre, ed in cuor l'abborriscono. Gl'Italiani in ciò sono affatto diversi dai Francesi. Questi, come nazion militare, con una minore apparente viltà corteggiano il re, ma con assai maggiore avvilimento il principato vezzeggiano, ed il principe adorano. Tutti questi sovrammentovati piccioli sintomi di addormentato, ma non estinto grand'animo, credere mi fanno, e sperare, e ardentissimamente bramare, che gl'Italiani siano per essere i primi a dare in Europa questo nuovo, dignitoso, e veramente importante aspetto alle lettere; ed i primi (come è ben giusto) a ricevere poscia da esse un nuovo e grandioso aspetto di politica durevole società.
      E il credere, o il dire, che quanto già è stato fatto dagli uomini, non si possa più da altri uomini rifare, e massimamente in quello stesso terreno, è questo un assurdo e debole assioma; è questa la solita e ottusa arme dei timidi e vili ingegni, che impossibile affermano tutto ciò ch'essi non possono, e la loro inferma vista non estendono più là, che a una o due sole generazioni di uomini. Ma, così certamente non vede colui che sente e riflette davvero. Questi, se egli romano nasce nei divini tempi dei Decj e dei Regoli, già piange in se stesso nel vedere i lontani corrotti nepoti di quelli, che, per la successione naturale delle cose, peggiori nascendo, fra pochi secoli la repubblica in perdizion manderanno.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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