CAPITOLO QUINTOUltima storietta puerile.
Era venuto in vacanza in Asti il mio fratello maggiore, il marchese di Cacherano, che da alcuni anni si stava educando in Torino nel collegio de' Gesuiti. Egli era in età di circa anni quattordici al piú, ed io di otto. La di lui compagnia mi riusciva ad un tempo di sollievo e d'angustia. Siccome io non lo avea mai conosciuto prima (essendomi egli fratello uterino soltanto), io veramente non mi sentiva quasi nessun amore per esso; ma siccome egli andava pure un cotal poco ruzzando con me, una certa inclinazione per lui mi sarebbe venuta crescendo con l'assuefazione. Ma egli era tanto piú grande di me; avea piú libertà di me, piú danari, piú carezze dai genitori; avea già vedute piú assai cose di me, abitando in Torino; aveva spiegato il Virgilio; e che so io, tante altre cosarelle aveva egli, che io non avea, che allora finalmente io conobbi per la prima volta l'invidia. Ella non era però atroce, poiché non mi traeva ad odiare precisamente quell'individuo, ma mi faceva ardentissimamente desiderare di aver io le stesse cose, senza però volerle togliere a lui. E questa credo io, che sia la diramazione delle due invidie, di cui, l'una negli animi rei diventa poi l'odio assoluto contro chi ha il bene, e il desiderio d'impedirglielo, o toglierglielo, anche non lo acquistando per sé; l'altra, nei non rei, diventa sotto il nome di emulazione, o di gara, un'inquietissima brama di ottenere quelle cose stesse in eguale o maggior copia dell'altro.
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