Ma pure, quando si venne all'atto di dover partire, io mi ebbi quasi a svenire, e mi addolorò di dover abbandonare il maestro don Ivaldi forse ancor piú che lo staccarmi dalla madre.
Incalessato poi quasi per forza dal mio fattore, che era un vecchio destinato per accompagnarmi a Torino in casa dello zio dove doveva andare da prima, partii finalmente, scortato anche dal servitore destinatomi fisso, che era un certo Andrea, alessandrino, giovine di molta sagacità e di bastante educazione secondo il suo stato ed il nostro paese, dove il saper leggere e scrivere non era allora comune. Era di luglio nel 1758, non so qual giorno, quando io lasciai la casa materna la mattina di buonissima ora. Piansi durante tutta la prima posta; dove poi giunto, nel tempo che si cambiava i cavalli, io volli scendere nel cortile, e sentendomi molto assetato senza voler domandare un bicchiere, né far attinger dell'acqua per me, accostatomi all'abbeveratoio de' cavalli, e tuffatovi rapidamente il maggior corno del mio cappello, tanta ne bevvi quanta ne attinsi. L'aio fattore, avvisato dai postiglioni, subito vi accorse sgridandomi assai; ma io gli risposi, che chi girava il mondo si doveva avvezzare a tai cose, e che un buon soldato non doveva bere altrimente. Dove poi avessi io pescate queste idee achillesche, non lo saprei; stante che la madre mi aveva sempre educato assai mollemente, ed anzi con risguardi circa la salute affatto risibili. Era dunque anche questo in me un impetino di natura gloriosa, il quale si sviluppava tosto che mi veniva concesso di alzare un pocolino il capo da sotto il giogo.
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Ivaldi Torino Andrea
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