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      CAPITOLO QUARTO
     
      Continuazione di quei non-studi.
     
      Non c'essendo quasi dunque nessuno de' miei che badasse altrimenti a me, io andava perdendo i miei piú begli anni non imparando quasi che nulla, e deteriorando di giorno in giorno in salute; a tal segno, ch'essendo sempre infermiccio, e piagato or qua or là in varie parti del corpo, io era fatto lo scherno continuo dei compagni, che mi denominavano col gentilissimo titolo di carogna; ed i piú spiritosi ed umani ci aggiungevano anco l'epiteto di fradicia. Quello stato di salute mi cagionava delle fierissime malinconie, e quindi si radicava in me sempre piú l'amore della solitudine. Nell'anno 1760 passai con tutto ciò in Rettorica, perché quei mali tanto mi lasciavano di quando in quando studicchiare, e poco ci volea per far quelle classi. Ma il maestro di Rettorica trovandosi essere assai meno abile di quello d'Umanità, benché ci spiegasse l'Eneide, e ci facesse far dei versi latini, mi parve, quanto a me, che sotto di lui io andassi piuttosto indietro che innanzi nell'intelligenza della lingua latina. Ma pure, poiché io non era l'ultimo tra quegli altri scolari, da ciò argomento che dovesse esser lo stesso di loro. In quell'anno di pretesa rettorica, mi venne fatto di ricuperare il mio Ariostino, rubandolo a un tomo per volta al sottopriore, che se l'era innestato fra gli altri suoi libri in un suo scaffale esposto alla vista. E mi prestò opportunità di ciò fare, il tempo in cui andavamo in camera sua alcuni privilegiati, per vedere dalle di lui finestre giuocare al pallon grosso, perché dalla camera sua situata di faccia al battitore, si godeva assai meglio il giuoco che non dalle gallerie nostre che stavangli di fianco.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
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