Quella scuola poi di filosofia peripatetica che si faceva il dopo pranzo, era una cosa da dormirvi in piedi. Ed in fatti, nella prima mezz'ora si scriveva il corso a dettatura del professore; e nei tre quarti d'ora rimanenti, dove si procedeva poi alla spiegazione fatta in latino, Dio sa quale, dal catedratico, noi tutti scolari, inviluppati interamente nei rispettivi mantelloni, saporitissimamente dormivamo; né altro suono si sentiva tra quei filosofi, se non se la voce del professore languente, che dormicchiava egli pure, ed i diversi tuoni dei russatori, chi alto, chi basso, e chi medio; il che faceva un bellissimo concerto. Oltre il potere irresistibile di quella papaverica filosofia, contribuiva anche molto farci dormire, principalmente noi accademisti, che avevamo due o tre panche distinte alla destra del professore, l'aver sempre i sonni interrotti la mattina dal doverci alzar troppo presto. E ciò, quanto a me, era la principal cagione di tutti i miei incomodi, perché lo stomaco non aveva tempo di smaltir la cena dormendo. Del che poi avvistisi a mio riguardo i superiori, mi concederono finalmente in quest'anno di Filosofia di poter dormire fino alle sette, in vece delle cinque e tre quarti, che era l'ora fissata del doversi alzare, anzi essere alzati, per scendere in camerata a dire le prime orazioni, e tosto poi mettersi allo studio fino alle sette e mezzo.
CAPITOLO QUINTO
Varie insulse vicende, su lo stesso andamento del precedente.
Nell'inverno di quell'anno 1762, il mio zio, il governatore di Cuneo, tornò per alcuni mesi in Torino; e vistomi cosí tisicuzzo, mi ottenne anche alcuni piccoli privilegi quanto al mangiare un po' meglio, cioè piú sanamente.
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Dio Filosofia Cuneo Torino
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