La smania di viaggiare, accresciutasi in me smisuratamente col conversare moltissimo con codesti forestieri, m'indusse contro la mia indole naturale ad intelaiare un raggiretto per vedere di strappare una licenza di viaggiare a Roma e a Napoli almeno per un anno. E siccome era troppo certa cosa, che in età di anni diciassette e me sí ch'io allora mi aveva, non mi avrebbero mai lasciato andar solo, m'ingegnai con un aio inglese cattolico, che guidava un fiammingo, ed un olandese a far questo giro, e coi quali era stato già piú d'un anno nell'Accademia, a vedere s'egli voleva anche incaricarsi di me, e cosí fare il sudetto viaggio noi quattro. Tanto feci insomma, che invogliai anche questi di avermi per compagno, e servitomi poi del mio cognato per ottenermi dal re la licenza di partire sotto la condotta del sudetto aio inglese, uomo piú che maturo, e di ottimo grido, finalmente restò fissata la partenza per i primi di ottobre di quell'anno. E questo fu il primo, e in seguito poi l'uno dei pochi raggiri ch'io abbia intrapresi con sottigliezza, e ostinazione di maneggio, per persuadere quell'aio, e il cognato, e piú di tutti lo stitichissimo curatore. La cosa riuscí, ma in me mi vergognava e irritava moltissimo di tutte le pieghevolezze, e simulazioni, e dissimulazioni che mi conveniva porre in opera per ispuntarla. Il re, che nel nostro piccolo paese di ogni piccolissima cosa s'ingerisce, non si trovava essere niente propenso ai viaggi de' suoi nobili; e molto meno poi di un ragazzo uscito allora del guscio, e che indicava un certo carattere.
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