Obbedendo ciecamente alla natura mia, con tutto ciò io non la conosceva né studiava per niente; e soltanto molti anni dopo mi avvidi, che la mia infelicità proveniva soltanto dal bisogno, anzi necessità ch'era in me di avere ad un tempo stesso il cuore occupato da un degno amore, e la mente da un qualche nobile lavoro; e ogniqualvolta l'una delle due cose mi mancò, io rimasi incapace dell'altra, e sazio e infastidito e oltre ogni dire angustiato.
Frattanto, per mettere in uso la mia nuova indipendenza totale, appena finito il carnovale volli assolutamente partirmene solo per Roma, atteso che il vecchio, dicendo di aspettar lettere di Fiandra, non fissava nessun tempo per la partenza dei suoi pupilli. Io, impaziente di lasciar Napoli, di rivedere Roma; o, per dir vero, impazientissimo di ritrovarmi solo e signore di me in una strada maestra, lontano trecento e piú miglia dalla mia prigione natia; non volli differire altrimenti, e abbandonai i compagni; ed in ciò feci bene, perché in fatti poi essi stettero tutto l'aprile in Napoli, e non furono per ciò piú in tempo per ritrovarsi all'Ascensione in Venezia, cosa che a me premeva allora moltissimo.
CAPITOLO TERZOProseguimento dei viaggi. Prima mia avarizia.
Giunto a Roma, previo il mio fidato Elia, azzeccai a piè delle scalere della Trinità de' Monti un grazioso quartierino molto gaio e pulito, che mi racconsolò della sudiceria di Napoli. Stessa dissipazione, stessa noia, stessa malinconia, stessa smania di rimettermi in viaggio. E il peggio era, stessissima ignoranza delle cose le piú svergognanti chi le ignora; e maggiore ogni giorno l'insensibilità per le tante belle e grandiose cose di cui Roma ridonda; limitandomi a quattro e cinque delle principali che sempre ritornava a vedere.
| |
Roma Fiandra Napoli Roma Napoli Ascensione Venezia Roma Elia Trinità Monti Napoli Roma
|