Non feci dunque nessuna querela col curatore, ma presi in me la risoluzione di risparmiare quanti piú danari potrei in quel primo viaggio dai milleduecento zecchini già assegnatimi, per cosí accrescere quanto piú potrei ai millecinquecento da esigersi, e che mi pareano scarsissimi per un anno di viaggi oltramontani. In questo modo io per la prima volta, da un giusto e piuttosto largo spendere, ristrettomi alla meschinità, provai un doloroso accesso di sordida avarizia. Ed andò questa tant'oltre che non solo non andava piú a visitare nessuna delle curiosità di Roma per non dare le mancie, ma anche al mio fidato e diletto Elia, procrastinandolo d'un giorno in un altro, io venni a negargli i danari del suo salario e vitto, a segno ch'egli mi si protestò ch'io lo sforzerei a rubarmeli per campare. Allora, di mal animo, glie li diedi.
Rimpicciolito cosí di mente e di cuore, partii verso i primi di maggio alla volta di Venezia; e la mia meschinità mi fece prendere il vetturino, ancorché io abborrissi quel passo mulare: ma pure il divario tra la posta e la vettura essendosi grande, io mi vi sottoposi, e mi avviai bestemmiando. Io lasciava nel calesse Elia col servitore, e me n'andava cavalcando un umile ronzino, che ad ogni terzo passo inciampava; onde io faceva quasi tutta la strada a piedi, conteggiando cosí sotto voce e su le dita della mano quanto mi costerebbero quei dieci o dodici giorni di viaggio; quanto, un mese di soggiorno in Venezia; quanto sarebbe il risparmio all'uscir d'Italia, e quanto questa cosa, e quanto quell'altra; e mi logorava il cuore e il cervello in cotali sudicerie.
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