Questa sí fatta selvatichezza era in me occasionata in parte da fierezza e inflessibilità d'ineducato carattere, in parte da una renitenza naturale e quasi invincibile al veder visi nuovi. Ed era pur cosa impossibile davvero di andar sempre cangiando paese senza che mi si cangiassero le persone. Avrei voluto per la parte del cuore convivere sempre con la stessa gente; ma sempre in luogo diverso.
In Genova dunque, non vi essendo allora il ministro di Sardegna, e non conoscendovi altri che il mio banchiere, non tardai anche molto a tediarmi; e già aveva fissato di partirne verso il fine di giugno, allorché un giorno quel banchiere, uomo di mondo e di garbo, venutomi a visitare, e trovatomi cosí solitario, selvatico, e malinconico, volle sapere come io passassi il mio tempo; e vedendomi senza libri, senza conoscenze, senza occupazione altra che di stare al balcone, e correre tutto il giorno per le vie di Genova, o di passeggiare pel fido in barchetta, gli prese forse una certa compassione di me e della mia giovinezza, e volle assolutamente portarmi da un cavaliere suo amico. Questi era il signor Carlo Negroni, che avea passata gran parte della sua vita in Parigi, e che vedendomi cotanto invogliato di andarvi, me ne disse quel vero e schietto, al quale non prestai fede se non se alcuni mesi dopo, tosto che vi fui arrivato. Frattanto quel garbato signore mi introdusse in parecchie case delle primarie; e all'occasione del famoso banchetto che si suol dare dal doge nuovo, egli mi serví d'introduttore e compagno.
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