Nel mio soggiorno nell'Haia, che riuscí assai piú lungo che non avea disegnato, io incappai finalmente nell'amore, che mai fin allora non mi avea potuto raggiungere né afferrare. Una gentil signorina, sposa da un anno, piena di grazie naturali, di modesta bellezza, e di una soave ingenuità, mi toccò vivissimamente nel cuore; ed il paese essendo piccolo, e poche le distrazioni, nel rivederla io assai piú spesso che non avrei voluto da prima, tosto poi mi venni a dolere di non poterla veder abbastanza. Mi trovai preso, senza quasi avvedermene, in una terribile maniera; talché già stava ruminando in me stesso niente meno che di non mi muover mai piú né vivo né morto dall'Haia, persuadendomi che mi sarebbe impossibilissima cosa di vivere senz'essa. Apertosi il mio indurito cuore agli strali d'Amore, egli avea ad un tempo stesso dato adito alle dolci insinuazioni dell'amicizia. Ed era il mio nuovo amico, il signor Don Iosé D'Acunha, ministro allora di Portogallo in Olanda. Egli era uomo di molto ingegno e piú originalità, di una bastante coltura, e di un ferreo carattere; magnanimo di cuore, di animo bollente ed altissimo. Una certa simpatia fra le nostre due taciturnità ci avea già quasi allacciati vicendevolmente, senza che ce ne avvedessimo; la franchezza poi e il calore dei nostri due animi ben tosto ebbe operato il di piú. Io dunque mi trovava felicissimo nell'Haia, dove per la prima volta in vita mia mi occorreva di non desiderare altra cosa al mondo nessuna, oltre l'amica, e l'amico.
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