CAPITOLO SETTIMORipatriato per un mezz'anno, mi do agli studi filosofici.
Tale fu il primo mio viaggio, che durò due anni e qualche giorni. Dopo circa sei settimane di villeggiatura con mia sorella, restituendosi ella in città, tornai in Torino con essa. Molti non mi riconoscevano quasi piú attesa la statura che in quei due anni mi si era infinitamente accresciuta; tanto era il bene che mi aveva fatto alla complessione quella vita variata, oziosa, e strapazzatissima. Nel passar di Ginevra io avea comprato un pieno baule di libri. Tra quelli erano le opere di Rousseau, di Montesquieu, di Helvetius, e simili. Appena dunque ripatriato, pieno traboccante il cuore di malinconia e d'amore, io mi sentiva una necessità assoluta di fortemente applicare la mente in un qualche studio; ma non sapeva il quale, stante che la trascurata educazione coronata poi da quei circa sei anni di ozio e di dissipazione, mi avea fatto egualmente incapace di ogni studio qualunque. Incerto di quel che mi farei, e se rimarrei in patria, o se viaggierei di bel nuovo, mi posi per quell'inverno a stare in casa di mia sorella, e tutto il giorno leggeva, un pochino passeggiava, e non trattava assolutamente con nessuno. Le mie letture erano sempre di libri francesi. Volli leggere l'Eloisa di Rousseau; piú volte mi ci provai; ma benché io fossi di un carattere per natura appassionatissimo, e che mi trovassi allora fortemente innamorato, io trovava in quel libro tanta maniera, tanta ricercatezza, tanta affettazione di sentimento, e sí poco sentire, tanto calor comandato di capo, e sí gran freddezza di cuore, che mai non mi venne fatto di poterne terminare il primo volume.
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