Io aveva letta la storia di Pietro il Grande nel Voltaire; mi era trovato nell'Accademia di Torino con vari moscoviti, ed avea udito magnificare assai quella nascente nazione. Onde, queste cose tutte, ingrandite poi anche dalla mia fantasia che sempre mi andava accattando nuovi disinganni, mi tenevano al mio arrivo in Pietroborgo in una certa straordinaria palpitazione dell'aspettativa. Ma, oimè, che appena io posi il piede in quell'asiatico accampamento di allineate trabacche, ricordatomi allora di Roma, di Genova, di Venezia, e di Firenze mi posi a ridere. E da quant'altro poi ho visto in quel paese, ho sempre piú ricevuto la conferma di quella prima impressione; e ne ho riportato la preziosa notizia ch'egli non meritava d'esser visto. E tanto mi vi andò a contragenio ogni cosa (fuorché le barbe e i cavalli), che in quasi sei settimane ch'io stetti fra quei barbari mascherati da europei, ch'io non vi volli conoscere chicchessia, neppure rivedervi due o tre giovani dei primi del paese, con cui era stato in Accademia a Torino, e neppure mi volli far presentare a quella famosa autocratrice Caterina Seconda; ed infine neppure vidi materialmente il viso di codesta regnante, che tanto ha stancata a' giorni nostri la fama. Esaminatomi poi dopo, per ritrovare il vero perché di una cosí inutilmente selvaggia condotta, mi son ben convinto in me stesso che ciò fu una mera intolleranza di inflessibil carattere, ed un odio purissimo della tirannide in astratto, appiccicato poi sopra una persona giustamente tacciata del piú orrendo delitto, la mandataria e proditoria uccisione dell'inerme marito.
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