Ma io, malgrado la frenesia che mi dominava, presentissimo a me, e sentendo nell'intimo del cuor mio quanto fosse giusto e sacrosanto lo sdegno dell'avversario, null'altro mai mi veniva fatto di rispondere, se non se: "Non è vera tal cosa; ma quand'ella pure la crede son qui per dargliene buon conto". Ed egli ricominciava ad affermarlo, e massimamente di quella mia ultima gita in villa egli ne sminuzzava sí bene ogni particolarità, ch'io rispondendo sempre, "Non è vero", vedea pure benissimo ch'egli era informato a puntino di tutto. Finalmente egli terminava col dirmi: "A che vuol ella negarmi quanto mi ha confessato e narrato la stessa mia moglie?". Strasecolai di un sí fatto discorso, e risposi (benché feci male, e me ne pentii poi dopo): "Quand'ella il confessi, non lo negherò io". Ma queste parole articolai, perché oramai era stufo di stare sí lungamente sul negare una cosa patente e verissima; parte che troppo mi ripugnava in faccia ad un nemico offeso da me; ma pure violentandomi, lo faceva per salvare, se era possibile, la donna. Questo era stato il discorso tra noi prima di arrivar sul luogo ch'io accennai. Ma allorché nell'atto di sguainar la spada, egli osservò ch'io aveva il manco braccio sospeso al collo, egli ebbe la generosità di domandarmi se questo non m'impedirebbe di battermi. Risposi ringraziandolo, ch'io sperava di no, e subito lo attaccai. Io sempre sono stato un pessimo schermidore; mi ci buttai dunque fuori d'ogni regola d'arte come un disperato; e a dir vero io non cercava altro che di farmi ammazzare.
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