Munito in tal guisa di questi possenti scudi contro l'ozio e la noia (ma invano, poiché sempre ozioso e noioso altrui e a me stesso rimanevami), partii per la Spagna verso il mezzo agosto. E per Orléans, Tours, Poitiers, Bordeaux e Toulouse, attraversata senza occhi la piú bella e ridente parte della Francia, entrai in Ispagna per la via di Perpignano; e Barcellona fu la prima città dove mi volli alquanto trattenere da Parigi in poi. In tutto questo lungo tratto di viaggio non facendo per lo piú altro che piangere tra me e me soletto in carrozza, ovvero a cavallo, di quando in quando andava pur ripigliando alcun tometto del mio Montaigne, il quale da piú di un anno non avea piú guardato in viso. Questa lettura spezzata mi andava restituendo un pocolino di senno e di coraggio, ed una qualche consolazione anche me la dava.
Alcuni giorni dopo essere arrivato a Barcellona, siccome i miei cavalli inglesi erano rimasti in Inghilterra, venduti tutti, fuorché il bellissimo lasciato in custodia al marchese Caraccioli; e siccome io senza cavalli non son neppur mezzo, subito comprai due cavalli, di cui uno d'Andalusia della razza dei certosini di Xerez, stupendo animale, castagno d'oro; l'altro un hacha cordovese, piú piccolo, ma eccellente, e spiritosissimo. Dacché era nato sempre avea desiderato cavalli di Spagna, che difficilmente si possono estrarre: onde non mi parea vero di averne due sí belli; e questi mi sollevavano assai piú che Montaigne. E su questi io disegnava di fare tutto il mio viaggio di Spagna, dovendo la carrozza andare a corte giornate a passo di mula, stante che posta per le carrozze non v'è stabilita, né vi potrebbe essere attese le pessime strade di tutto quel regno affricanissimo.
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