Una sera che questo oriuolaio avea cenato meco, e che ancora si stava discorrendo a tavola dopo cenati, entrò Elia per ravviarmi al solito i capelli, per poi andarcene tutti a letto; e nello stringere col compasso una ciocca di capelli, me ne tirò un pochino piú l'uno che l'altro. Io, senza dirgli parola, balzato in piedi piú ratto che folgore, di un man rovescio con uno dei candelieri ch'avea impugnato glie ne menai un cosí fiero colpo su la tempia diritta, che il sangue zampillò ad un tratto come da una fonte sin sopra il viso e tutta la persona di quel giovine, che mi stava seduto in faccia all'altra parte di quella assai ben larga tavola dove si era cenati. Quel giovane, che mi credé (con ragione) impazzito subitamente, non avendo osservato né potendosi dubitare che un capello tirato avesse cagionato quel mio improvviso furore, saltò subito su egli pure come per tenermi. Ma già in quel frattempo l'animoso ed offeso e fieramente ferito Elia, mi era saltato addosso per picchiarmi; e ben fece. Ma io allora snellissimo gli scivolai di sotto, ed era già saltato su la mia spada che stava in camera posata su un cassettone, ed avea avuto il tempo di sfoderarla. Ma Elia inferocito mi tornava incontro, ed io glie l'appuntava al petto; e lo spagnuolo a rattenere ora Elia, ed or me; e tutta la locanda a romore; e i camerieri saliti, e cosí separata la zuffa tragicomica e scandalosissima per parte mia. Rappaciati alquanto gli animi si entrò negli schiarimenti; io dissi che l'essermi sentito tirar i capelli mi avea messo fuor di me; Elia disse di non essersene avvisto neppure; e lo spagnuolo appurò ch'io non era impazzito, ma che pure savissimo non era.
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