Cosí finí quella orribile rissa, di cui io rimasi dolentissimo e vergognosissimo e dissi ad Elia ch'egli avrebbe fatto benissimo ad ammazzarmi. Ed era uomo da farlo; essendo egli di statura quasi un palmo piú di me che sono altissimo; e di coraggio e forza niente inferiore all'aspetto. La piaga della tempia non fu profonda, ma sanguinò moltissimo, e poco piú in su che l'avessi colto, io mi trovava aver ucciso un uomo che amavo moltissimo per via d'un capello piú o meno tirato. Inorridii molto di un cosí bestiale eccesso di collera; e benché vedessi Elia alquanto placato, ma non rasserenato meco, non volli pure né mostrare né nutrire diffidenza alcuna di lui; e un par d'ore dopo, fasciata che fu la ferita, e rimessa in sesto ogni cosa me n'andai a letto, lasciando la porticina che metteva in camera di Elia, aderente alla mia, aperta al solito, e senza voler ascoltare lo spagnuolo che mi avvertiva di non invitare cosí un uomo offeso e irritato di fresco ad una qualche vendetta. Ma io anzi dissi forte ad Elia che era già stato posto a letto, che egli poteva volendo uccidermi quella notte se ciò gli tornava comodo, poiché io lo meritava. Ma egli era eroe per lo meno quanto me; né altra vendetta mai volle prendere, che di conservare poi per sempre due fazzoletti pieni zeppi di sangue, coi quali s'era rasciutta da prima la fumante piaga; e di poi mostrarmeli qualche volta, che li serbò per degli anni ben molti. Questo reciproco misto di ferocia e di generosità per parte di entrambi noi, non si potrà facilmente capire da chi non ha esperienza dei costumi, e del sangue di noi piemontesi.
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