Quelle ferite poco gloriose mi amareggiarono assai quel lunghissimo viaggio da Cadice a Torino, ch'io intrapresi di fare d'un sol fiato cosí ad oncia ad oncia per tutta la lunghezza della Spagna sino ai confini di Francia, di dove già v'era entrato. Ma pure a forza di robustezza, ostinazione e sofferenza, cavalcando, sfangando a piedi, e strapazzandomi d'ogni maniera, arrivai, assai mal concio, a dir vero, a Perpignano, di dove poi continuando per le poste ebbi a soffrir molto meno. In quel gran tratto di terra i due soli luoghi che mi diedero una qualche soddisfazione, furono Cordova e Valenza: massimamente poi tutto il regno di Valenza, che misurai per lo lungo sul finir di marzo, ed era per tutto una primavera tepida e deliziosissima, di quelle veramente descritte dai poeti. Le adiacenze poi e i passeggi, e le limpide acque, e la posizione locale della città di Valenza, e il bellissimo azzurro del di lei cielo, e un non so che di elastico ed amoroso nell'atmosfera; e donne i di cui occhi protervi mi faceano bestemmiare le gaditane; e un tutto, insomma, sí fatto mi si appresentò in quel favoloso paese, che nessun'altra terra mi ha lasciato un tale desiderio di sé, né mi si riaffaccia sí spesso alla fantasia quanto codesta.
Giunto per la via di Tortosa una seconda volta in Barcellona, e tediatissimo del viaggiare a cosí lento passo, feci il gran distacco dal mio bellissimo cavallo andaluso, che per essere molto affaticato da quest'ultimo viaggio di trenta e piú giorni consecutivi da Cadice a Barcellona, non lo volea strapazzar maggiormente col farmelo trottar dietro il legno quando sarei partito per Perpignano a marcia duplicata.
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