A fretta in furia, facendo con danari bastonare le tardissime mule, mi portai dunque in due giorni soli da Barcellona a Perpignano, dove ce n'avea impiegati quattro al venire. E la fretta poi mi era sí fattamente rientrata addosso, che di Perpignano in Antibo volando per le poste, non mi trattenni mai, né in Narbona, né in Monpellieri, né in Aix. Ed in Antibo subito imbarcatomi per Genova, dove solo per riposarmi soggiornai tre giorni, di lí mi restituiva in patria due altri giorni trattenendomi presso mia madre in Asti; e quindi, dopo tre anni di assenza, in Torino, dove giunsi il dí quinto di maggio dell'anno 1772. Nel passare di Monpellieri io avea consultato un chirurgo di alto grido, su i miei incommodi incettati in Cadice. Costui mi ci volea far trattenere; ma io, fidandomi alquanto su l'esperienza che avea oramai contratta di simili incommodi, e sul parere del mio Elia, che di queste cose intendeva benissimo, e mi avea già altre volte perfettamente guarito in Germania, ed altrove; senza dar retta all'ingordo chirurgo di Monpellieri, avea proseguito, come dissi, il mio viaggio rapidissimamente. Ma lo strapazzo stesso di due mesi di viaggio avea molto aggravato il male. Onde al mio arrivo in Torino, sendo assai mal ridotto, ebbi che fare quasi tutta l'estate per rimettermi in salute. E questo fu il principal frutto dei tre anni di questo secondo mio viaggio.
CAPITOLO DECIMOTERZOPoco dopo essere rimpatriato, incappo nella terza rete amorosa. Primi tentativi di poesia.
Ma benché agli occhi dei piú, ed anche ai miei, nessun buon frutto avessi riportato da quei cinque anni di viaggi, mi si erano con tutto ciò assai allargate le idee, e rettificato non poco il pensare; talché, quando il mio cognato mi volle riparlare d'impieghi diplomatici che avrei dovuto sollecitare, io gli risposi: che avendo veduti un pochino piú da presso ed i re, e coloro che li rappresentano, e non li potendo stimare un iota nessuni, io non avrei voluto rappresentarne né anche il Gran Mogol, non che prendessi mai a rappresentare il piú piccolo di tutti i re dell'Europa, qual era il nostro; e che non rimaneva altro compenso a chi si trovava nato in simili paesi, se non se di camparvi del suo, avendovelo, e d'impiegarsi da sé in una qualche lodevole occupazione sotto gli auspici favorevolissimi sempre della beata indipendenza.
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