Questi miei detti fecero torcere moltissimo il muso a quell'ottimo uomo che trovavasi essere uno dei gentiluomini di camera del re; né mai piú avendomi egli parlato di ciò, io pure sempre piú mi confermai nel mio proposito.
Io mi trovava allora in età di ventitré anni; bastantemente ricco, pel mio paese; libero, quanto vi si può essere; esperto, benché cosí alla peggio, delle cose morali e politiche, per aver veduti successivamente tanti diversi paesi e tanti uomini; pensatore, piú assai che non lo comportasse quell'età; e presumente anche piú che ignorante. Con questi dati mi rimaneano necessariamente da farsi molti altri errori, prima che dovessi pur ritrovare un qualche lodevole ed utile sfogo al bollore del mio impetuoso intollerante e superbo carattere.
In fine di quell'anno del mio ripatriamento, provvistomi in Torino una magnifica casa posta su la piazza bellissima di San Carlo, e ammobigliatala con lusso e gusto e singolarità, mi posi a far vita di gaudente con gli amici, che allora me ne ritrovai averne a dovizia. Gli antichi miei compagni d'Accademia, e di tutte quelle prime scappataggini di gioventú, furono di nuovo i miei intimi; e tra quelli, forse un dodici e piú persone, stringendoci piú assiduamente insieme, venimmo a stabilire una società permanente, con admissione od esclusiva ad essa per via di voti, e regole, e buffonerie diverse, che poteano forse somigliare, ma non erano però, Libera Muratoreria. Né di tal società altro fine ci proponevamo, fuorché divertirci, cenando spesso insieme (senza però nessunissimo scandalo); e del resto nell'adunanze periodiche settimanali la sera, ragionando o sragionando sovra ogni cosa.
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