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      Tenevansi queste auguste sessioni in casa mia, perché era e piú bella e piú spaziosa di quelle dei compagni, e perché essendovi io solo si rimanea piú liberi. C'era fra questi giovani (che tutti erano ben nati e dei primari della città) un po' d'ogni cosa; dei ricchi e dei poveri, dei buoni, dei cattivucci, e degli ottimi, degli ingegnosi, degli sciocchetti, e dei colti; onde da sí fatta mistura, che il caso la somministrò ottimamente temperata, risultava che io né vi potea, né avrei voluto potendolo, primeggiare in niun modo, ancorché avessi veduto piú cose di loro. Quindi le leggi che vi si stabilirono furono discusse e non già dettate; e riuscirono imparziali, egualissime, e giuste; a segno che un corpo di persone come eramo noi, tanto potea fondare una ben equilibrata repubblica, come una ben equilibrata buffoneria. La sorte e le circostanze vollero che si fabbricasse piuttosto questa che quella. Si era stabilito un ceppo assai ben capace, dalla di cui spaccatura superiore vi si introducevano scritti d'ogni specie, da leggersi poi dal presidente nostro elettivo ebdomadario, il quale tenea di esso ceppo la chiave. Fra quegli scritti se ne sentivano talvolta alcuni assai divertenti e bizzarri; se ne indovinavano per lo piú gli autori, ma non portavano nome. Per nostra comune e piú mia particolare sventura, quegli scritti erano tutti in (non dirò lingua), ma in parole francesi. Io ebbi la sorte d'introdurre varie carte nel ceppo, le quali divertirono assai la brigata; ed erano cose facete miste di filosofia e d'impertinenza, scritte in un francese che dovea essere almeno non buono, se pure non pessimo, ma riuscivano pure intelligibili e passabili per un uditorio che non era piú dotto di me in quella lingua.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406