Vegetando io dunque cosí in questa vita giovenile oziosissima, non avendo mai un istante quasi di mio, né mai aprendo piú un libro di sorte nessuna, incappai (come ben dovea essere) di bel nuovo in un tristo amore; dal quale poi dopo infinite angosce, vergogne, e dolori, ne uscii finalmente col vero, fortissimo, e frenetico amore del sapere e del fare, il quale d'allora in poi non mi abbandonò mai piú; e che, se non altro, mi ha una volta sottratto dagli orrori della noia, della sazietà, e dell'ozio; e dirò piú, dalla disperazione; verso la quale a poco a poco io mi sentiva strascinare talmente, che se non mi fossi ingolfato poi in una continua e caldissima occupazione di mente, non v'era certamente per me nessun altro compenso che mi potesse impedire prima dei trent'anni dall'impazzire o affogarmi.
Questa mia terza ebrezza d'amore fu veramente sconcia, e pur troppo lungamente anche durò. Era la mia nuova fiamma una donna, distinta di nascita, ma di non troppo buon nome nel mondo galante, ed anche attempatetta; cioè maggiore di me di circa nove in dieci anni. Una passeggiera amicizia era già stata tra noi, al mio primo uscire nel mondo, quando ancora era nel Primo Appartamento dell'Accademia. Sei e piú anni dopo, il trovarmi alloggiato di faccia a lei, il vedermi da essa festeggiato moltissimo; il non far nulla; e l'esser io forse una di quelle anime di cui dice, con tanta verità ed affetto, il Petrarca:
So di che poco canape si allacciaun'anima gentil, quand'ella è sola,
e non è chi per lei difesa faccia;
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Primo Appartamento Accademia Petrarca
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