Lo prevenni, col domandar l'uno e l'altro, né questo mi sturbò punto l'animo. In due o tre aspetti mi occorse di rimirare ben in faccia la morte nella mia gioventú; e mi pare di averla ricevuta sempre con lo stesso contegno. Chi sa poi, se quando ella mi si riaffaccerà irremissibile io nello stesso modo la riceverò. Bisogna veramente che l'uomo muoia, perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore.
Risorto da quella malattia, ripigliai tristamente le mie catene amorose. Ma per levarmene pure qualcun'altra d'addosso, non volli piú lungamente godermi i lacci militari, che sommamente mi erano sempre dispiaciuti, abborrendo io quell'infame mestiere dell'armi sotto un'autorità assoluta qual ch'ella sia; cosa, che sempre esclude il sacrosanto nome di patria. Non negherò pure, che in quel punto la mia Venere non fosse piú assai per me opprobriosa che non era il mio Marte. In somma fui dal colonnello, e allegando la salute domandai dimissione dal servizio, che non avea a dir vero prestato mai; poiché in circa ott'anni che portai l'uniforme, cinque li avea passati fuor del paese; e nei tre altri appena cinque riviste avea passate, che due l'anno se ne passavano sole in quei reggimenti di Milizie Provinciali in cui avea preso servizio. Il colonnello volle ch'io ci pensassi dell'altro prima di chiedere per me codesta dimissione; accettai per civiltà il suo invito e simulando di avervi pensato altri quindici giorni, la ridomandai piú fermamente e l'ottenni.
Io frattanto strascinava i miei giorni nel serventismo, vergognoso di me stesso, noioso e annoiato, sfuggendo ogni mio conoscente ed amico, sui di cui visi io benissimo leggeva tacitamente scolpita la mia opprobriosa dabenaggine.
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Venere Marte Milizie Provinciali
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