Formato in me tal proponimento, per legarmivi contraendo con una qualche persona come un obbligo di vergogna, scrissi un bigliettino ad un amico mio coetaneo, che molto mi amava, con chi s'era fatta l'adolescenza, e che allora da parecchi mesi non mi vedea piú, compiangendomi molto di esser naufragato in quella Cariddi, e non potendomene cavar egli, né volendomi perciò parer d'approvare. Nel bigliettino gli dava conto in due righe della mia immutabile risoluzione, e gli acchiudevo un involtone della lunga e ricca treccia de' miei rossissimi capelli, come un pegno di questo mio subitaneo partito, ed un impedimento quasi che invincibile al mostrarmi in nessun luogo cosí tosone, non essendo allora tollerato un tale assetto, fuorché ne' villani, e marinai. Finiva il biglietto col pregarlo di assistermi di sua presenza e coraggio, per rinfrancare il mio. Isolato in tal guisa in casa mia, proibiti tutti i messaggi, urlando e ruggendo, passai i primi quindici giorni di questa mia strana liberazione. Alcuni amici mi visitavano; e mi parve anco mi compatissero; forse appunto perché io non diceva parola per lamentarmi, ma il mio contegno ed il volto parlavano in vece mia. Mi andava provando di leggere qualche cosuccia, ma non intendeva neppur la gazzetta, non che alcun menomo libro; e mi accadeva di aver letto della pagine intere cogli occhi, e talor con le labbra, senza pure saper una parola di quel ch'avessi letto. Andava bensí cavalcando nei luoghi solitari, e questo soltanto mi giovava un poco sí allo spirito che al corpo.
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Cariddi
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