Intanto il Paciaudi, per non farmi smarrire d'animo, finse di trovar buono il mio sonetto, benché né egli il credesse, né effettivamente lo fosse. Ed io poi, di lí a pochi mesi ingolfatomi davvero nello studio dei nostri ottimi poeti, tosto imparai a stimare codesto mio sonetto per quel giusto nulla ch'egli valeva. Professo con tutto ciò un grand'obbligo a quelle prime lodi non vere, e a chi cortesemente le mi donò, poiché molto mi incoraggirono a cercare di meritarne delle vere.
Già parecchi giorni prima della rottura con la signora, vedendola io indispensabile ed imminente, mi era sovvenuto di ripescare di sotto al cuscino della poltroncina quella mia mezza Cleopatra, stata ivi in macero quasi che un anno. Venne poi dunque quel giorno, in cui, fra quelle mie smanie e solitudine quasi che continua, buttandovi gli occhi su, ed allora soltanto quasi come un lampo insortami la somiglianza del mio stato di cuore con quello di Antonio, dissi fra me stesso: "Va proseguita quest'impresa; rifarla, se non può star cosí; ma in somma sviluppare in questa tragedia gli affetti che mi divorano, e farla recitare questa primavera dai comici che ci verranno". Appena mi entrò questa idea, ch'io (quasiché vi avessi ritrovata la mia guarigione) cominciai a schiccherar fogli, rappezzare, rimutare, troncare, aggiungere, proseguire, ricominciare, ed in somma a impazzare in altro modo intorno a quella sventurata e mal nata mia Cleopatra. Né mi vergognai anco di consultare alcuni de' miei amici coetanei, che non avevano, come io, trascurata tanti anni la lingua e poesia italiana; e tutti ricercava ed infastidiva, quanti mi poteano dar qualche lume su un'arte di cui cotanto io mi trovava al buio.
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Paciaudi Cleopatra Antonio Cleopatra
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