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      E in questa guisa, null'altro desiderando io allora che imparare, e tentare, se mi poteva riuscire quella pericolosissima e temeraria impresa, la mia casa si andava a poco a poco trasformando in una semiaccademia di letterati. Ma essendo io in quelle date circostanze bramoso d'imparare, e arrendevole, per accidente; ma per natura, ed attesa l'incrostata ignoranza, essendo ad un tempo stesso agli ammaestramenti recalcitrante ed indocile; disperavami, annoiava altrui e me stesso, e quasiché nulla venivami a profitto. Era tuttavia sommo il guadagno dell'andarmi con questo nuovo impulso cancellando dal cuore quella non degna fiamma, e di andare ad oncia ad oncia riacquistando il mio già sí lungamente alloppiato intelletto. Non mi trovava almeno piú nella dura e risibile necessità di farmi legare su la mia seggiola, come avea praticato piú volte fin allora, per impedire in tal modo me stesso dal poter fuggir di casa, e ritornare al mio carcere. Questo era anche uno dei tanti compensi ch'io aveva ritrovati per rinsavirmi a viva forza. Stavano i miei legami nascosti sotto il mantellone in cui mi avviluppava, ed avendo libere le mani per leggere, o scrivere, o picchiarmi la testa, chiunque veniva a vedermi non s'accorgeva punto che io fossi attaccato della persona alla seggiola. E cosí ci passava dell'ore non poche. Il solo Elia, che era il legatore, era a parte di questo segreto; e mi scioglieva egli poi, quando io sentendomi passato quell'accesso di furiosa imbecillità, sicuro di me, e riassodato il proponimento, gli accennava di sciogliermi.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





Elia