Né mi era io persuaso di quest'effetto perché me l'avessero piú o meno lodate; ma per l'attenzione non finta né comandata, con cui le avevano di capo in fondo ascoltate, e perché i taciti moti dei loro commossi aspetti mi parvero dire assai piú che le loro parole. Ma per mia somma disgrazia, quali che si fossero quelle due tragedie, elle si trovavano concepite e nate in prosa francese, onde rimanea loro lunga e difficile via da calcarsi, prima ch'elle si trasmutassero in poesia italiana. E in codesta spiacevole e meschina lingua le aveva io stese, non già perché io la sapessi, né punto ci pretendessi, ma perché in quel gergo da me per quei cinque anni di viaggio esclusivamente parlato, e sentito, io mi veniva a spiegare un po' piú, ed a tradire un po' meno il pensiero mio; che sempre pur mi accadeva, per via di non saper nessuna lingua, ciò che accaderebbe ad un volante dei sommi d'Italia, che trovandosi infermo, e sognando di correre a competenza de' suoi eguali o inferiori, null'altro gli mancasse ad ottener la vittoria se non se le gambe.
E questa impossibilità di spiegarmi, e tradurre me stesso, non che in versi ma anche in prosa italiana, era tale, che quando io rileggeva un atto, una scena, di quelle ch'eran piaciute ai miei ascoltatori, nessuno d'essi le riconosceva piú per le stesse, e mi domandavano sul serio, perché l'avessi mutate; tanta era l'influenza dei cangiati abiti e panneggiamenti alla stessa figura, ch'ella non era piú né conoscibile, né sopportabile. Io mi arrabbiava, e piangeva; ma invano.
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Italia
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