Ed in fatti quel primo Filippo, che poi alla stampa si contentò di annoiare il pubblico con soli millequattrocento e qualche versi, nei due primi tentativi pertinacemente volle annoiare e disperare il suo autore con piú di due mila versi, in cui egli diceva allora assai meno cose, che nei millequattrocento dappoi.
Quella lungaggine e fiacchezza di stile, ch'io attribuiva assai piú alla penna mia che alla mente mia, persuadendomi finalmente ch'io non potrei mai dir bene italiano finché andava traducendo me stesso dal francese, mi fece finalmente risolvere di andare in Toscana per avvezzarmi a parlare, udire, pensare, e sognare in toscano, e non altrimenti mai piú. Partii dunque nell'aprile del '76, coll'intenzione di starvi sei mesi, lusingandomi che basterebbero a disfrancesarmi. Ma sei mesi non disfanno una triste abitudine di dieci e piú anni. Avviatomi alla volta di Piacenza e di Parma, me n'andava a passo tardo e lento, ora in biroccio, ora a cavallo, in compagnia de' miei poetini tascabili, con pochissimo altro bagaglio, tre soli cavalli, due uomini, la chitarra, e le molte speranze della futura gloria. Per mezzo del Paciaudi conobbi in Parma, in Modena, in Bologna, e in Toscana, quasi tutti gli uomini di un qualche grido nelle lettere. E quanto io era stato non curante di tal mercanzia ne' miei primi viaggi, altrettanto e piú era poi divenuto curioso di conoscere i grandi, e i medi in qualunque genere. Allora conobbi in Parma il celebre nostro stampatore Bodoni, e fu quella la prima stamperia in cui io ponessi mai i piedi, benché fossi stato a Madrid, e a Birmingham, dove erano le due piú insigni stamperie d'Europa, dopo il Bodoni.
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