E qui mi tocca di confessare, pel vero, di quai fonti le avessi tratte. Il Filippo, nato francese, e figlio di francese, mi venne di ricordo dall'aver letto piú anni prima il romanzo di Don Carlos, dell'Abate di San Reale. Il Polinice, gallo anch'egli, lo trassi dai Fratelli nemici, del Racine. L'Antigone, prima non imbrattata di origine esotica, mi venne fatta leggendo il duodecimo libro di Stazio nella traduzione su mentovata, del Bentivoglio. Nel Polinice l'avere io inserito alcuni tratti presi nel Racine, ed altri presi dai Sette prodi di Eschilo, che leggicchiai nella traduzione francese del padre Brumoy, mi fece far voto in appresso, di non piú mai leggere tragedie d'altri prima d'aver fatte le mie, allorché trattava soggetti trattati, per non incorrere cosí nella taccia di ladro, ed errare o far bene, del mio. Chi molto legge prima di comporre, ruba senza avvedersene, e perde l'originalità, se l'avea. E per questa ragione anche avea abbandonato fin dall'anno innanzi la lettura di Shakespeare (oltre che mi toccava di leggerlo tradotto in francese). Ma quanto piú mi andava a sangue quell'autore (di cui però benissimo distingueva tutti i difetti), tanto piú me ne volli astenere.
Appena ebbi stesa l'Antigone in prosa, che la lettura di Seneca m'infiammò e sforzò d'ideare ad un parto le due gemelle tragedie, l'Agamennone, e l'Oreste. Non mi parea con tutto ciò, ch'elli mi siano riuscite in nulla un furto fatto da Seneca. Nel fin di giugno sloggiai da Pisa, e venni in Firenze, dove mi trattenni tutto il settembre.
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