Che se in Torino non parlava francese, con tutto ciò il nostro gergaccio piemontese ch'io sempre parlava e sentiva tutto il giorno, in nulla riusciva favorevole al pensare e scrivere italiano.
CAPITOLO QUARTOSecondo viaggio letterario in Toscana, macchiato di stolida pompa cavallina. Amicizia contratta col Gandellini. Lavori fatti o ideati in Siena.
Partii nei primi di maggio, previa la consueta permissione che bisognava ottener dal re per uscire dai suoi felicissimi stati. Il ministro a chi la domandai, mi rispose che io era stato anco l'anno innanzi in Toscana. Soggiunsi: "E perciò mi propongo di ritornarvi quest'anno". Ottenni il permesso; ma quella parola mi fece entrar in pensieri, e bollire nella fantasia il disegno che io poi in meno d'un anno mandai pienamente ad effetto, e per cui non mi occorse d'allora in poi mai piú di chiedere permissione nissuna. In questo secondo viaggio, proponendomi di starvi piú tempo, e fra i miei deliri di vera gloria frammischiandone pur tuttavia non pochi di vanagloria, ci volli condur piú cavalli e piú gente, per recitare in tal guisa le due parti, che di rado si meritano insieme, di poeta e di signore. Con un treno dunque di otto cavalli, ed il rimanente non discordante da esso, mi avviai alla volta di Genova. Di là imbarcatomi io col bagaglio e il biroccino, mandai per la via di terra verso Lerici e Sarzana i cavalli. Questi arrivarono felicemente avendomi preceduto. Io nella filucca essendo già quasi alla vista di Lerici, fui rimandato indietro dal vento, e costretto di sbarcare a Rapallo, due sole poste distante da Genova.
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