Questa volta non volli io lasciar chiedere per me quella che mi avrebbe pur forse voluto, e che sí per l'indole, che per ogni altra ragione mi sarebbe convenuta, e mi piaceva anche non poco. Ma ott'anni di piú ch'io m'aveva, e tutta l'Europa quasi ch'io avea o bene o male veduta, e l'amor della gloria che m'era entrato addosso, e, la passion dello studio, e la necessità di essere, o di farmi libero, per poter essere intrepido e veridico autore, tutti questi caldissimi sproni mi facean passar oltre, e gridavanmi ferocemente nel cuore, che nella tirannide basta bene ed è anche troppo il viverci solo, ma che mai, riflettendo, vi si può né si dee diventare marito né padre. Perciò passai l'Arno, e mi trovai tosto in Siena. E sempre ho benedetto quel punto in cui ci capitai, perché in codesta città combinai un crocchietto di sei o sette individui dotati di un senno, giudizio, gusto e cultura, da non credersi in cosi picciol paese. Fra questi poi primeggiava di gran lunga il degnissimo Francesco Gori Gandellini, di cui piú d'una volta cara memoria non mi uscirà mai dal cuore. Una certa somiglianza nei nostri caratteri, lo stesso pensare e sentire (tanto piú raro e pregevole in lui che in me, attese le di lui circostanze tanto diverse dalle mie) ed un reciproco bisogno di sfogare il cuore ridondante delle passioni stesse, ci riunirono ben tosto in vera e calda amicizia. Questo santo legame della schietta amicizia era, ed è tuttavia, nel mio modo di pensare e di vivere un bisogno di prima necessità; ma la mia ritrosa e difficile e severa natura mi rende e renderà finch'io viva, poco atto ad inspirarla in altrui, e oltre modo ritenuto nel porre in altri la mia.
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