Da lui ebbi il pensiero di porre in tragedia la congiura de' Pazzi. Il fatto m'era affatto ignoto, ed egli mi suggerí di cercarlo nel Machiavelli a preferenza di qualunque altro storico. Cosí, per una strana combinazione, quel divino autore che dovea poi in appresso farmisi una delle mie piú care delizie, mi veniva per la seconda volta posto in mano da un altro veracissimo amico, simile in molte cose al già tanto a me caro D'Acunha, ma molto piú erudito e colto di lui. Ed in fatti, benché il mio terreno non fosse preparato abbastanza per ricevere e fruttificare un tal seme, pure in quel luglio ne lessi di molti squarci qua e là, oltre la narrazione del fatto della congiura. Quindi, non solo la tragedia ne ideai immediatamente, ma invasato, di quel suo dire originalissimo e sugoso, di lí a pochi giorni mi sentii costretto a lasciare ogni altro studio, e come inspirato e sforzato a scrivere d'un sol fiato i due libri della Tirannide; quasi per l'appunto quali poi molti anni appresso gli stampai. Fu quello uno sfogo di un animo ridondante e piagato fin dall'infanzia dalle saette dell'abborrita e universale oppressione. Se in età piú matura io avessi dovuto trattar di nuovo un tal tema, l'avrei forse trattato alquanto piú dottamente, corroborando l'opinione mia colla storia. Ma nello stamparlo non ho però voluto, col gelo degli anni e la pedanteria del mio poco sapere, indebolire in quel libro la fiamma di gioventú e di nobile e giusto sdegno, che ad ogni pagina d'esso mi parve avvampare, senza scompagnarsi da un certo vero e incalzante raziocinio che mi vi par dominare.
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