Che se poi vi ho scorti degli sbagli, o delle amplificazioni, come figli d'inesperienza e non mai di mal animo, ce li ho voluti lasciare. Nessun fine secondo, nessuna privata vendetta mi inspirò quello scritto. Forse ch'io avrò o male, o falsamente sentito, ovvero con troppa passione. Ma e quando mai la passione pel vero e pel retto fu troppa, allorché massimamente si tratta di immedesimarla in altrui? Non ho detto che quanto ho sentito, e forse meno che piú. Ed in quella bollente età il giudicare e raziocinare non eran fors'altro che un puro e generoso sentire.
CAPITOLO QUINTODegno amore mi allaccia finalmente per sempre.
Sgravato in tal guisa l'esacerbato mio animo dal lungo e traboccante odio ingenito suo contro la tirannide, io mi sentii tosto richiamato alle opere teatrali; e quel libercoletto, dopo averlo letto all'amico, ed a pochissimi altri, sigillai e posi da parte, né piú ci pensai per molti anni. Intanto, ripreso il coturno, rapidissimamente distesi ad un tratto l'Agamennone, l'Oreste, e la Virginia. E circa all'Oreste, mi era nato un dubbio prima di stenderlo, ma il dubbio essendo per sé stesso picciolo e vile, mi venne in magnanima guisa disciolto dall'amico. Questa tragedia era stata da me ideata in Pisa l'anno innanzi, e mi avea infiammato di tal soggetto la lettura del pessimo Agamennone di Seneca. Nell'inverno poi, trovandomi io in Torino, squadernando un giorno i miei libri, mi venne aperto un volume delle tragedie del Voltaire, dove la prima parola che mi si presentò fu, Oreste tragedia.
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