Pochissimi giorni mi trattenni in Roma; ed in quelli, Amore mi fece praticare infinite pieghevolezze e destrezze, ch'io non avrei poste in opera né per ottenere l'imperio dell'universo: pieghevolezze, ch'io ferocemente ricusai praticare dappoi, quando presentandomi al limitare del tempio della Gloria, ancorché molto dubbio se vi potrei ottenere l'accesso, non ne volli pur mai lusingare né incensare coloro che n'erano, o si teneano, custodi di esso. Mi piegai allora al far visite, al corteggiare per anche il di lei cognato, dal quale soltanto dipendeva oramai la di lei futura total libertà, di cui ci andavamo entrambi lusingando. Io non mi estenderò gran fatto sul proposito di questi due personaggi fratelli, perché furono in quel tempo notissimi a ciascheduno; e sebbene poi verisimilmente l'obblio gli avrà sepolti del tutto col tempo, a me non si aspetta di trarneli, laudare non li potendo né li volendo biasimare. Ma intanto l'aver io umiliato il mio orgoglio a costoro, può riuscire bastante prova dell'immenso mio amore per essa.
Partii per Napoli, come promesso l'avea, e come, delicatamente operando, il dovea. Questa separazione seconda mi riuscí ancor piú dolorosa della prima in Firenze. E già in quella prima lontananza di circa quaranta giorni, io avea provato un saggio funesto delle amarezze che mi aspettavano in questa seconda, piú lunga ed incerta.
In Napoli la vista di quei bellissimi luoghi non essendo nuova per me, ed avendo io una sí profonda piaga nel cuore, non mi diede quel sollievo ch'io me ne riprometteva.
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