La sera scendeva nell'abitato, e ristorato dalle fatiche dello studio con l'amabile vista di quella per cui sola io esisteva e studiava, me ne ritornava poi contento al mio eremo, dove al piú tardi all'undici della sera io era ritirato. Un soggiorno piú gaio e piú libero e piú rurale, nel recinto d'una gran città, non si potea mai trovare; né il piú confacente al mio umore, carattere ed occupazioni. Me ne ricorderò, e lo desidererò, finch'io viva.
Lasciata dunque in tal modo la mia unica donna, i miei libri, la villa, la pace, e me stesso in Roma, io me n'andava dilungando in atto d'uomo quasi stupido ed insensato. M'avviai verso Siena, per ivi lagrimare almeno liberamente per qualche giorni in compagnia dell'amico. Né ben sapeva ancora in me stesso, dove anderei, dove mi starei, quel che mi farei. Mi riuscí d'un grandissimo sollievo il conversar con quell'uomo incomparabile; buono, compassionevole, e con tanta altezza e ferocia di sensi, umanissimo. Né mai si può veramente ben conoscere il pregio e l'utilità d'un amico verace, quanto nel dolore. Io credo, che senz'esso sarei facilmente impazzato. Ma egli, vedendo in me un eroe cosí sconciamente avvilito e minor di sé stesso; ancorché ben intendesse per prova i nomi e la sostanza di fortezza e virtú, non volle con tutto ciò crudelmente ed inopportunamente opporre ai deliri miei la di lui severa e gelata ragione; bensí seppe egli scemarmi, e non poco, il dolore, col dividerlo meco. Oh rara, oh celeste dote davvero; chi sappia ragionare ad un tempo, e sentire!
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