Di Bologna, sempre piangendo e rimando, me n'andai a Milano; e di là, trovandomi cosí vicino al mio carissimo abate di Caluso, che allora villeggiava co' suoi nipoti nel bellissimo loro castello di Masino poco distante da Vercelli, ci diedi una scorsa di cinque o sei giorni. E in uno di quelli, trovandomi anche tanto vicino a Torino, mi vergognai di non vi dare una scorsa per abbracciar la sorella. V'andai dunque per una notte sola coll'amico, e l'indomani sera ritornammo a Masino. Avendo abbandonato il paese mio colla donazione, in aspetto di non lo voler piú abitare, non mi vi volea far vedere cosí presto, e massime dalla corte. Questa fu la ragione del mio apparire e sparire in un punto. Onde questa scorsa cosí rapida che a molti potrebbe parere bizzarra, cesserà d'esserlo saputane la ragione. Erano già sei e piú anni, ch'io non dimorava piú in Torino; non mi vi parea essere né sicuro, né quieto, né libero; non ci voleva, né doveva, né potea rimanervi lungamente.
Di Masino, tosto ritornai a Milano, dove mi trattenni ancora quasi tutto luglio; e ci vidi assai spesso l'originalissimo autore del Mattino, vero precursore della futura satira italiana. Da questo celebre e colto scrittore procurai d'indagare, con la massima docilità, e con sincerissima voglia d'imparare, dove consistesse principalmente il difetto del mio stile in tragedia. E Parini con amorevolezza e bontà mi avvertí di varie cose, non molto a dir vero importanti, e che tutte insieme non poteano mai costituire la parola stile, ma alcune delle menome parti di esso.
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