Ma a volerla far cosa originale e frizzante d'un agrodolce terribile, il pregio di cui piú abbisognava si era la brevità. Perciò da prima io l'aveva ideata di tre soli canti; ma la rassegna dei consiglieri mi avea rubato quasi che un canto, perciò furon quattro. Non sono però ben certo in me stesso che quei tanti interrompimenti non abbiano influito sul totale del poema, dandogli un non so che di sconnesso.
Mentre io stava dunque tentando di proseguire quel quarto canto, io andava sempre ricevendo e scrivendo gran lettere; queste a poco a poco mi riempirono di speranza, e vieppiú m'infiammarono del desiderio di rivederla tra breve. E tanto andò crescendo questa possibilità, che un bel giorno non potendo io piú stare a segno, detto al solo amico Gori dove io fossi per andare, e finto di fare una scorsa a Venezia, io mi avviai verso la Germania il dí quattro d'agosto. Giorno, oimè, di sempre amara ricordanza per me. Che mentre io baldo e pieno di gioia mi avviava verso la metà di me stesso, non sapeva io che nell'abbracciare quel caro e raro amico, che per sei settimane sole mi credea di lasciarlo, io lo lascerei per l'eternità. Cosa, di cui non posso parlare, né pur pensarci, senza prorompere in pianto, anche molti anni dopo. Ma tacerò di questo pianto, poiché altrove quanto meglio il seppi v'ho dato sfogo.
Eccomi dunque da capo per viaggio. Per la solita mia dilettissima e assai poetica strada di Pistoia a Modena, me ne vo rapidissimamente a Mantova, Trento, Inspruck, e quindi per la Soavia a Colmar, città dell'Alsazia superiore alla sinistra del Reno.
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