Volli tentare di indebolirne alquanto il dolore senza punto scemarmene la memoria, col cangiare e luoghi ed oggetti. Mi trasferii perciò nel novembre in Pisa, risolutomi di starvi quell'inverno; ed aspettando che un miglior destino mi restituisse a me stesso; che privo d'ogni pascolo del cuore, veramente non mi potea riputar vivo.
CAPITOLO DECIMOQUINTOSoggiorno in Pisa. Scrittovi il Panegirico a Traiano ed altre cose.
La mia donna frattanto era per le Alpi della Savoia rientrata 1785 anch'essa in Italia; e per la via di Torino venuta a Genova, quindi a Bologna, in quest'ultima città si propose di passare l'inverno; combinandosi in questo modo per lei di stare negli Stati Pontificii, senza pure rimettersi in Roma nell'usato carcere. Sotto il pretesto dunque della stagione troppo inoltrata, sendo giunta a Bologna in decembre, non ne partí altrimenti. Eccoci dunque, io a Pisa, ed essa in Bologna, col solo Apennino di mezzo, per quasi cinque mesi, di nuovo disgiunti e pur vicinissimi. Questo m'era ad un tempo stesso una consolazione e un martirio; ne ricevea le nuove freschissime ogni tre o quattro giorni, e non potea pure né doveva in niun modo tentar di vederla, atteso il gran pettegolezzo delle città piccole d'Italia, dove chi nulla nulla esce dal volgo, è sempre minutamente osservato dai molti oziosi e maligni. Io mi passai dunque in Pisa quel lunghissimo inverno, col solo sollievo delle di lei spessissime lettere, e perdendo al solito il mio tempo fra i molti cavalli, e quasi nulla servendomi dei pochi ma fidi miei libri.
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