Nel maggio di quell'anno godei in Pisa del divertimento del Giuoco del Ponte, spettacolo bellissimo, che riunisce un non so che di antico e d'eroico. Vi si aggiunse anco un'altra festa bellissima d'un altro genere, la luminara di tutta la detta città, come si costuma ogni due anni per la festa di San Ranieri. Queste feste si fecero allora riunitamente, all'occasione della venuta del re e regina di Napoli in Toscana per visitarvi il gran duca Leopoldo, cognato del suddetto re. La mia vanaglorietta in quelle feste rimase bastantemente soddisfatta, essendomi io fatto molto osservare a cagione de' miei be' cavalli inglesi, che vincevano in mole, bellezza e brio quanti altri mai cavalli vi fossero capitati in codest'occasione. Ma in mezzo a quel mio fallace e pueril godimento, mi convinsi con sommo dolore ad un tempo stesso, che nella fetida e morta Italia ella era assai piú facil cosa il farsi additare per via di cavalli, che non per via di tragedie.
CAPITOLO DECIMOSESTOSecondo viaggio in Alsazia, dove mi fisso. Ideativi, e stesi i due Bruti, e l'Abele. Studi caldamente ripigliati.
In questo frattempo era ripartita di Bologna la mia donna, ed avviatasi verso Parigi nel mese di aprile. Non volendo essa tornare a Roma, in nessun altro luogo ella potea piú convenientemente fissarsi che in Francia, dove avea parenti, aderenze, e interessi. Trattenutasi in Parigi sino all'agosto inoltrato, ella ritornò in Alsazia in quella stessa villa dove c'eramo incontrati l'anno innanzi. Onde io ai primi di settembre con infinita gioia e premura mi vi avviai per la solita strada dell'Alpi tirolesi.
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