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      Ma per dare un saggio dell'affetto e semplice costume di quella rispettabil donna, porrò qui in fondo di pagina(11) la di lei lettera su questo soggetto.
      Finito il trattato del matrimonio, ci sfogammo reciprocamente a cuore, l'amico ed io, coi discorsi delle amatissime lettere. Io mi sentiva veramente necessità di conversare su l'arte, di parlar italiano, e di cose italiane; tutte privazioni che da due anni mi si faceano sentire non poco; e ciò con assai grande mio scapito, nell'arte principalmente del verseggiare. E certo, se questi ultimi famosi uomini francesi, come Voltaire e Rousseau, avessero dovuto gran parte della loro vita andarsene erranti in diversi paesi in cui la loro lingua fosse stata ignota o negletta, e non avessero neppur trovato con chi parlarla, essi non avrebbero forse avuto la imperturbabilità e la tenace costanza di scrivere per semplice amor dell'arte e per mero sfogo, come faceva io, ed ho fatto poi per tanti anni consecutivi, costretto dalle circostanze di vivere e conversare sempre con barbari; che tale si può francamente denominare tutta l'Europa da noi, quanto alla letteratura italiana; come lo è pur troppo tuttavia, e non poco, una gran parte della stessa Italia, sui nescia. Che se si vuole anche per gl'italiani scrivere egregiamente, e che si tentino versi in cui spiri l'arte del Petrarca e di Dante, chi oramai in Italia, chi è che veramente e legga ed intenda e gusti e vivamente senta Dante e il Petrarca? Uno in mille, a dir molto. Con tutto ciò, io immobile nella persuasione del vero e del bello, antepongo d'assai (ed afferro ogni occasione di far tal protesta) di gran lunga antepongo di scrivere in una lingua quasi che morta, e per un popolo morto, e di vedermi anche sepolto prima di morire, allo scrivere in codeste lingue sorde e mute, francese ed inglese, ancorché dai loro cannoni ed eserciti elle si vadano ponendo in moda.


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Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso
di Vittorio Alfieri
pagine 406

   





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